Sta somaraja che sa scrive e legge

sti teòlichi e st’antre genti dotte

sarìa mejo s’annassino a fa fotte

co li su libri a sòno de scorregge

(Giuseppe Gioachino Belli, sonetto 181)

Da qualche giorno leggiamo interventi sui grandi quotidiani, scorriamo interviste radiotelevisive, siamo inondati in rete da commenti indignati: il coro reagisce con asprezza alla notizia della mancata convalida di quattro internamenti nella struttura di detenzione siciliana nel borgo di Pozzallo.

Necessaria premessa tecnica per i non addetti ai lavori

Il provvedimento che dispone di trattenere nel Centro di Permanenza per i Rimpatri (CPR) un richiedente asilo entrato nel territorio italiano in attesa che la sua domanda sia esaminata viene emesso dal Prefetto competente, in questo caso quello di Ragusa, il Cavalier Giuseppe Ranieri, in via autonoma e discrezionale, ma anche in rappresentanza del Ministro Piantedosi.

Per avere efficacia il provvedimento deve essere tuttavia necessariamente convalidato, in contraddittorio con l’interessato, dalla magistratura; si tratta di una procedura che non rientra in ambito penalistico, ma è di carattere civile-amministrativo.

La Corte di Cassazione (decisione n. 18.189 del 2020) ha chiarito che la convalida è competenza non del Giudice di Pace (come spesso si riteneva) ma del Tribunale (in questo caso quello di Catania), Sezione Specializzata in materia di immigrazione, libera circolazione, protezione internazionale; provvede all’esame un Giudice Monocratico (per capirci: un solo magistrato, non un Collegio di tre giudici). La procedura è assai semplice, prevede una soluzione rapida della vicenda: le parti sono il prefetto da un lato, il richiedente asilo dall’altro. Entrambi possono presentare memorie per illustrare le rispettive posizioni, argomentando e producendo eventualmente documenti a sostegno. Il Giudice decide poi con un decreto che contiene la motivazione contestuale: può convalidare l’internamento (comunque temporaneo) oppure rigettare la domanda prefettizia disponendo che il richiedente sia rimesso in libertà. La legge che regola il procedimento si lega espressamente alla direttiva comunitaria vincolante, di cui è mera attuazione, non può certo discostarsene. Il decreto è un provvedimento giudiziario molto diverso dalla sentenza e dall’ordinanza: la sentenza prevede il rimedio dell’appello, l’ordinanza può essere revocata dal medesimo Giudice o essere oggetto di reclamo al Collegio, mentre il decreto consente solo il ricorso per cassazione. Opporsi al decreto con appelli o reclami sarebbe irrimediabilmente sanzionato con l’improcedibilità, senza entrare nel merito, per errore del destinatario che letta la doglianza la restituisce al mittente condannandolo alle spese di lite. Chi straparla di sentenze, appelli, ordinanze, attesa di motivazioni, mostra di non avere la minima conoscenza della legge, il che può essere consentito all’utente del Bar Sport a Viareggio, ma lascia perplessi quando si tratti della Presidenza del Consiglio, di ministri della Repubblica, di giornalisti specializzati in materia giudiziaria che pretendono di spiegarci  il diritto.

Il caso ovvero il decreto di mancata convalida

Per meglio confondere il pubblico l’apparato mediatico si guarda bene dal mettere il testo del decreto a disposizione del pubblico; confonde perfino i ruoli. La procedura non l’ha avviata il richiedente asilo, ma il prefetto in via autonoma, senza neppure l’affiancamento di una firma ministeriale. L’altro si è difeso, opponendosi ad essere rinchiuso (il che non dovrebbe provocare stupore, pochi aderiscono con gioia alla loro reclusione). La motivazione dell’internamento disposto e della richiesta di convalida si fonda essenzialmente su tre pilastri: la mancanza di passaporto, la provenienza da un paese (Tunisia) definito “sicuro”, il mancato versamento dei cinquemila euro per garanzia/cauzione. La questione giuridica era assai delicata: si trattava di una norma nuova appena varata, dunque in assenza di precedenti giurisprudenziali. Pacifico invece (già dal 1989, per decisione n. 389 della Corte Costituzionale) che le norme nazionali in contrasto con le direttive europee possano e anzi debbano essere disapplicate. Ma il Prefetto Cavalier Dottor Giuseppe Ranieri da Genova, dopo aver depositato la richiesta di convalida, ha preferito delegare il vicequestore Filiberto Fracchiolla a seguire la vicenda, senza un avvocato di supporto specialista di una materia complessa, senza Avvocatura dello Stato, solo soletto esposto alle incertezze delle liti (habent sua sidera lites dicevano i latini, ovvero come va a finire lo sanno gli astri!). Il povero Fracchiolla (vice questore dal 1 marzo) è un poliziotto abile, ha esperienza di CPR (a Bari curava ordine e sicurezza di CARA e CPR), è pure laureato in giurisprudenza con lode; ma qualche mezzo sarebbe stato prudente fornirglielo, invece di mandarlo a combattere con il petto nudo!

La dottoressa Iolanda Apostolico, Giudice di Catania, come si legge nella chiarissima motivazione del decreto senza alcuna possibilità di equivoco, ha preso atto che i termini processuali apparivano rispettati da tutte le parti, che la provenienza da un paese sicuro non era oggetto di contrasto ma al tempo stessa doveva ritenersi irrilevante, che il Prefetto non aveva dedotto motivazioni oltre al mancato deposito della cauzione, non aveva presentato memorie, non aveva svolto attività difensive ad integrazione della richiesta convalida. Rilevato il contrasto fra normativa speciale invocata (la norma sul deposito cauzionale) e direttive comunitarie le ha disapplicate ordinando il rilascio del tunisino (anzi di quattro tunisini destinatari delle quattro richieste di convalida: il testo è uguale ne abbiamo allegata una sola a campione).

Il coro

A questo punto, dopo il silenzio incomprensibile durante il processo, il governo si è svegliato, gridando al complotto comunista giudiziario contro le istituzioni. Il (la) primo (prima) ministro (ministra) Giorgia Meloni è esplosa dicendosi basita per la sentenza ingiusta e annunciando che avrebbe fatto appello. O Giorgetta! Siamo basiti noi davanti al capo del governo che parla a vanvera, scambiando per sentenze i decreti, dimenticando che non tocca a lei ma al prefetto (eventualmente al ministro) ricorrere (non in appello perché sarebbe causa persa) ma per cassazione. Basita? Ma la possibile disapplicazione di norme italiane per contrasto con quelle comunitarie o con quelle costituzionali è un principio consolidato, pacifico, più volte utilizzato nelle decisioni della magistratura. Non avere preso neppure in considerazione questa concreta eventualità è per un verso segno di arroganza, per altro verso di avventurosa incompetenza con esiti imprevedibili. Ove mai Giorgia Meloni fondasse anche impegni bellici o economici o internazionali su convinzioni altrettanto scricchiolanti ci sarebbe da stare poco allegri nel prossimo futuro. Meno male che il ministro della giustizia (al Corriere precisa di avere una certa esperienza in magistratura) conferma intervistato che si tratta di sentenza (e bravo Nordio!) per proporre d’intesa con il Viminale (ci vuole il Prefetto, non basta Piantedosi)  ma aspettate le motivazioni (è un decreto, ci sono fin da subito!). Il coro intero dei governanti e dei loro comunicatori alterna menzogne (il Tribunale nega che la Tunisia sia un paese sicuro) ad asinerie tecniche: un coro di beoti.

 

Alleghiamo, per documentazione, due dei decreti di non convalida della detenzione dei GPT firmati dalla dottoressa Iolanda Apostolico, Giudice di Catania: qui si possono leggere le chiarissime motivazioni espresse: Non convalida 10460 23 (1) ; Non convalida 10461 23 (1)

 

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