Dei corpi perduti e dei corpi ritrovati – 10 ottobre a Milano
L’enigma del valore #3
Effimera.org
Effimera vi invita a partecipare al terzo e ultimo seminario previsto all’interno del ciclo dedicato all’analisi delle trasformazioni del valore, che abbiamo avviato nel giugno 2019. Questo incontro, dedicato al corpo, avrebbe dovuto tenersi a febbraio di questo anno, cosa che, per note ragioni, non è stata possibile. Tuttavia, mai come in questo momento ci pare azzeccata e necessaria una discussione sul tema. Il seminario si terrà sabato 10 ottobre preso la Casa delle Donne di Milano. A breve verranno fornite indicazioni sulle modalità di iscrizione, sul numero di persone che potranno partecipare in presenza e sulle modalità per seguire, viceversa, i lavori online. Specificheremo i titoli delle relazioni e aggiungeremo brevi bioline di coloro che interverranno. Per il momento, vi invitiamo a segnarvi la data, a leggere il testo di di indizione e a capire come abbiamo organizzato la discussione nelle tre diverse sessioni. Seguiranno, insomma, precisazioni e aggiornamenti
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La centralità della produzione immateriale nella attuale organizzazione del lavoro sembra quasi voler cancellare la materialità dei corpi, sostituiti dalla comunicazione virtuale mediante proiezioni di immagini e dalla fungibilità neuronale del singolo soggetto. Per altro verso, la violenza repressiva, i fenomeni migratori, la cura di cui sempre necessitano i corpi, ci riconducono alla concretezza della carne. Il corpo è comunque al cuore della scena.
La pandemia di Covid-19 ha ulteriormente messo in luce la materialità dei corpi. Che cosa è un corpo? Il corpo è da sempre ridotto a strumento della ri/produzione governata da una ragione a esso aliena. Che cosa può un corpo? Il femminismo ha sin dall’origine proposto una politica dei corpi contrapposta alla governamentalità del potere sul vivente.
Ci accorgiamo con più precisione come il furore autodistruttivo del capitalismo, che non si ferma neppure di fronte alla prospettiva della vita abolita per sempre, neppure di fronte alla catastrofe ecologica, che si fonda su fabbriche della morte, renda più che mai necessario focalizzare l’attenzione sui corpi. Corpi che hanno resistito, in parte o del tutto, al “disciplinamento in ‘carne da lavoro’”, ma anche corpi che, sul piano simbolico, “rappresentano istanze di resistenza alle pratiche di potere dominanti, sia elementi fecondi per dare vita a immaginari diversi su cui fondare l’agire politico”[1]. Per tali motivi, cercando di trarre un insegnamento soprattutto dai vissuti, in questa fase cruciale, crediamo necessaria un’indagine approfondita che si allarghi su tre campi:
- i corpi nel circuito contemporaneo della creazione di valore;
- il governo, il controllo e la selezione dei corpi e delle vite, il nuovo volto dei segmenti di schiavitù;
- la malattia dei corpi e i problemi relativi all’assistenza, alla povertà, alla fame.
Lanciamo dunque l’idea di un seminario, dedicato a questi temi, da tenersi il 10 ottobre, a Milano. Consapevoli che questi ambiti si incrociano tra loro, cerchiamo di disegnare alcuni quadri, alcune immagini senza un punto d’arrivo. Cercheremo di individuarlo insieme, proprio grazie al confronto, con il pensiero rivolto ai tanti testi e alle tante discussioni che si sono mescolati in rete, su Effimera.org ma non solo, in questi mesi crudeli.
Corpi del capitale
Il capitalismo è uscito dalle fabbriche e dagli uffici per inondare ogni angolo della società. Usando una utile descrizione di Shoshana Zuboff, gli imprenditori della sorveglianza (Google e Facebook, tra gli altri) si sono impossessati di noi solo perché viviamo, non per il nostro lavoro. Come da tempo andiamo ripetendo, sono i corpi e la vita a diventare direttamente produttivi di valore.
La pandemia ha fatto selezione e spinto su un salto di paradigma dal quale non tutti si salveranno. Diventa più chiaro e redditizio il ruolo di piattaforme private e non open sorce per rimanere connessi con gli altri durante i periodi di isolamento e massicciamente utilizzati, in Italia senza dubbio, da tutte le scuole di ogni ordine e grado, con relativa pioggia d’oro derivante da data mining di massa. Si estende il ruolo di social network, di motori di ricerca e app di tutti i tipi. Decolla l’e-commerce, Amazon in testa. Sempre più peso assumono i processi di finanziarizzazione e privatizzazione del Welfare State, le forme sussidiarie del welfare, le assicurazioni sanitarie che prevedono perfino pacchetti con check up a distanza (pubblicizzate in tv).
È necessario riflettere sul conflitto politico economico istituzionale che si è aperto sul vaccino. Gli Usa pretendono di acquisire il controllo di un’industria tedesca che si dichiara prossima alla realizzazione di una cura, offre una somma e pretende l’esclusiva del farmaco per i soli cittadini americani. Putin dichiara di averlo già depositato e testato sul corpo della figlia. La Cina si è immediatamente aggiunta. Si combatte con spionaggio industriale nei paesi ricchi per “rubare” il risultato delle ricerche; non solo non si collabora ma si boicotta. Questa logica non solo non viene contrastata come abominevole, ma viene fatta propria dallo Stato nazionale (o dalle alleanze di stati nazionali) contro i nemici. L’esclusione dal vaccino come arma di guerra.
L’enfasi è qui messa sulla diretta produzione sociale dei corpi: fluidi biologici e anticorpi, cavie umane insieme a emozioni diffuse in rete e nello stesso tempo a saperi registrati e archiviati su zoom o google suite. L’enfasi è, ancora una volta, messa sul ruolo prioritario assunto dalla riproduzione (produzione sociale), generata senza intermediari dai corpi, nelle catene di produzione del valore. La vita come plusvalore. Privatizzazione delle scienze della vita. Alcune prestigiose università degli Usa stanno decidendo di non aprire i propri pacchetti di e-learnig agli studenti stranieri, mentre in Italia si è aperta la caccia allo studente fuori sede. Dumping sociali, abbandono scolastico, selezione di classe.
Durante il lockdown abbiamo abitato metropoli svuotate di corpi fisici e sempre più popolate da corpi digitali e da profili da cui si raccoglievano dati sensibili, detti tali perché sono legati alla vulnerabilità delle persone. Tutto questo amplifica la solitudine e tratteggia l’apice del riconoscimento visuale ottenuto grazie a un occhio tattile affamato di pornografia emotiva che va continuamente alimentato.
Nel frattempo, ordinavamo cibo collegandoci alla app di uno smartphone, protesi che, attaccata al braccio di un corpo che pedala è in grado di fornire, contemporaneamente, indicazioni stradali, velocità di percorrenza in base al traffico e tracciabilità per padroni e clienti, controllo e dati per il capitalismo biocognitivo, misurando prestazioni che sono a un tempo fisiche e neuronali. Come affrontare tali nuove frontiere del capitalismo biocognitivo, che svelano il culmine della capacità di accumulazione dell’economia della interiorità che si spinge a pretendere di plasmare i corpi-mente fino al punto di alienarli da noi stessi medesimi? Quali strumenti, quali armi del possibile? Il corpo secondo il capitale non può non essere anche “vittima”, destinatario di controllo repressivo. La stessa cura ha un costo e impone una contropartita. Il corpo, viceversa, per chi si oppone a questa logica, vive nel “comune”, può essere uno strumento di liberazione. Oppressione e liberazione.
Corpi e controllo
La lotta messa in atto dai vari stati del pianeta contro la pandemia, oppure affatto messa in atto, nella maggior parte dei casi mette in luce alcune criticità che sembra necessario discutere. Intanto non esiste battaglia di contrasto alla pandemia nella guerra, in quella dichiarata e in quella di fatto. I campi di battaglia si sono moltiplicati, ma il lockdown non sembra facile da attuare laddove si spara. E anche dove la concentrazione dei corpi viene privata di risorse per la sopravvivenza per ragioni di utilità politica o militare.
È semplicistico sottolineare solo gli effetti repressivi conseguenti. A ben vedere talune politiche finiscono per disporre anche un apparato estremamente efficace per eradicare tutte le possibili fonti di conflitti sociali, nel crescere delle diseguaglianze, allargando ulteriormente la forbice tra le classi sociali.
Non vogliamo celare il rischio grave connesso al virus, la sua veloce capacità di diffusione, ma viene da domandarsi se pandemia e lockdown non vadano letti in continuità col prima, storicamente, cercando di decifrarne il segno della precarietà esistenziale che già era iscritta nei nostri corpi. Vale la pena di domandarci se l’emergenza Covid-19 non abbia contribuito a rafforzare gli assetti di controllo, sorveglianza e selezione sulle nostre vite.
In questo scenario, in un transito che rimpalla dall’eugenetica ai sistemi di controllo della popolazione, dalla riproduzione alla ripetizione, dalla specializzazione organica dei ruoli sessuali alle strategie di ottimizzazione genetica, dentro un orizzonte in cui la fantascienza è diventata di stringente attualità e l’economia dei disastri ridefinisce tutti i paradigmi, la biopolitica si costruisce come “piano per un’azione mirata alla costruzione e al mantenimento dei confini di ciò che conta come sé e come altro negli ambiti cruciali del normale e del patologico”[2].
Governo del vivente o eliminazione di ciò che eccede, che è “minore”, che è disutile, che non può essere tradotto in valore di scambio, che non è sano, che è mostro (da monstrum, “prodigio; contro natura”)? Non è forse questa, la battaglia ultima per rimanere in vita, la massima competizione possibile? E di converso, non è forse vedendo tutto questo che ci viene voglia di allargare finalmente le crepe dell’ordine del discorso del potere, esaltando gli elementi di resistenza e le prassi alternative che gli si contrappongono? E se questa fosse la via d’uscita che non riuscivamo a trovare? Coltivare il dubbio, continuare a pensare, diffidare dell’uniformità del pensiero.
La violenza cinica che caratterizza il nostro tempo è connessa con la preponderanza di un modello di sviluppo che cancella ogni alternativa. Il fatto che il nemico più insidioso appaia attualmente il virus è anch’esso un dato storico che oggi però si dispiega con estrema drammaticità per via dell’impronta demografica e delle scelte economiche su scala globale e che è accompagnato dall’ideologia dominante del capitalismo.
Vi sono corpi diversamente esposti in ragione dell’appartenenza alla condizione economica, coloniale e di dominio, in definitiva di classe e di genere.
Il controllo dei corpi permette inoltre altre forme di sperimentazione di potere che riguardano la vita, i modi e le condizioni in cui questa può essere declinata.
È indubbio che stiamo assistendo a uno dei momenti di massima sperimentazione delle forme di selezione umana in cui i saperi, l’etica, i sentimenti e gli affetti sono liquidati in ragione di un “bene supremo” che è quello del dominio dei pochi contro i molti come è riscontrabile ormai su scala globale. Come tutto ciò venga amministrato è questione squisitamente politica.
Il corpo non è riducibile al puro dato biologico anche quando appare esposto, fragile e dunque marginalizzabile, ogni corpo è una scrittura di vissuti e relazioni che si forgiano in ambito sociale e che dunque hanno una valenza politica proprio in quanto scrittura di sé e degli altri.
Le logiche di dominio confinano i corpi nella massa (Canetti) e lo proiettano nelle società di disciplina e controllo (Foucault, Deleuze), quando i saperi tecno-scientifici, medici etc. si riversano nella comunicazione si profila allora il processo di addestramento della massa. Le condizioni minime materiali di vita sono state ridotte a un privilegio elargito come concessione dai nuovi “principi”.
Il corpo può diventare “altro da sé”, un nemico quasi sconosciuto quando lo si percepisce e lo si destina ad essere una “cosa” sconnessa dalle altre forme del vivente, del sociale e del politico. Questo processo avviene in momenti emergenziali a quali purtroppo siamo stati abituati ben prima di questa ondata pandemica. Il violento movimento di espropriazione e di selezioni delle esistenze passa attraverso i corpi, già Foucault aveva a più riprese richiamato il motivo “dei rapporti di potere che passano attraverso i corpi”. Ma cosa si intende quando si parla di selezione, meccanismi di questo tipo si sono a più riprese avvicendati nella storia. Occorre, dunque, considerare uno specifico che incontra nel dato tecnologico, biotecnologico, tecno-comunicativo il prodursi di una nuova ideologia cinica e disincantata che considera i corpi al pari di un piano di sperimentazione a partire dal quale anche la scienza spesso mostra la sua insufficienza e la sua incapacità di essere autonoma rispetto all’urgenze di poteri che come unico fine hanno ormai la propria autoperpetuazione.
Il venir meno di un’intelligenza critica più ampia ha finito con il relegare affetti, pratiche, cura nell’ambito circoscritto dei legami più stretti ricorrendo di fatto a forme di autogestione, le sole che abbiano saputo produrre resistenza. La cura ha trovato le istituzioni in difficoltà non solo pratiche, ma anche di conoscenza.
I corpi sono il modo in cui facciamo mondo, ma se questo mondo non può più essere immaginato, inventato e trasformato, questo mondo diventa un fantasma che chiude la sfera politica entro meta-narrazioni, per lo più spettacolari, che non hanno alcuna efficacia sui vissuti.
Ripartire dai corpi e dalle esistenze in modo meno vago, meno pseudo-religioso può significare rovesciare il meccanismo violento dell’espropriazione delle vite in una catarsi politica non più rinviabile, per dirla con Deleuze “per non essere indegni di ciò che ci accade”.
Il corpo malato
Stato sociale, medicalizzazione, assenza di assistenza. Desideri, solidarietà, lotte. La stagione dei diritti sociali introdotti dal welfare state aveva validato e rilanciato giuridicamente un insieme di prestazioni sociali nate nell’Ottocento fuori dal suo perimetro (la cooperazione sociale da un lato, il paternalismo padronale dall’altro). Si è trattato di un passaggio fondamentale, che ha annunciato la trasformazione dei benefici sociali nel diritto universale a un reddito reale non misurato sul valore di mercato del soggetto, con i diritti sociali (più o meno) universali a fare da reddito indiretto. Da questo punto di vista, il programma politico del welfare del secondo dopoguerra punta a liberare la società dal rischio, assicurando protezione a tutti gli individui contro l’insicurezza sociale derivante dall’instabilità dei mercati, una risposta alla crisi del 1929. Al centro di quella fase, oltre e prima ancora delle conquiste materiali, c’è stata la conquista politica e culturale della presa di parola delle classi popolari e dei gruppi subalterni rispetto ai propri bisogni e desideri e la loro messa in circolazione in una sfera pubblica conflittuale. Questo nesso tra presa di parola, spazio democratico e welfare, tra movimenti istituenti e nuove istituzioni, è una delle radici più preziose di quella stagione.
Arriviamo a tempi a noi più vicini e ci accorgiamo che da oltre vent’anni la sanità pubblica viene rimodellata su un modello privatistico, con l’imposizione di un linguaggio e di strategie di management ispirati all’impresa privata, combinati a tagli continui di risorse, mezzi, personale.
Tale stravolgimento e depotenziamento del servizio pubblico ha inciso soprattutto sulla capacità di prevenzione sanitaria della cittadinanza, aumentando così il rischio di malattia (l’invisibilizzazione di patologie gravi, come i tumori), e ha favorito una concentrazione nelle strutture sanitarie ospedaliere, anche grazie al parziale smantellamento dei presidi territoriali, soprattutto nelle regioni (vedi Lombardia) dove il processo di privatizzazione è più avanzato.
Non può stupire la parziale inadeguatezza del sistema sanitario nazionale di fronte all’emergenza Covid-19, che ha assunto dimensioni drammatiche nei territori più privatizzati e spogliati di una rete territoriale di prevenzione sanitaria. Si è deciso di compensare tali carenze con interventi di limitazione della circolazione personale e il parziale blocco dell’attività produttiva (lockdown).
I movimenti finanziari, le tecnologie “scientifiche” sono sganciati da qualunque legge e necessità di “rendere conto” alla comunità, mentre gli individui si trovano alle prese con nuovi obblighi “partecipativi” sempre basati sul controllo e l’auto-controllo (tracciamento, auto-tracciamento, isolamento) per trovare un minimo di protezione sociale. È esattamente questa la precarietà esistenziale.
Che tipo di attività concreta condurre contro tali prese del potere sui corpi? Come rendere visibili le perigliosità di certi passaggi e le narrazioni che hanno occultato il tema della salute pubblica in termini generali? Quale il ruolo dello stato sociale, mentre l’autunno si apre su sempre più nere povertà, diseguaglianze, mancanze? Quali strategie immaginare per il futuro, senza negare la pericolosità del virus ma tenendo conto che il terreno del comune muore se è occupato dalla paura?
Il nostro comportamento, la nostra personalità, la nostra intelligenza sono direttamente definiti dalle nostre esperienze: quali effetti si sono avuti e quali si avranno da un punto di vista emotivo e psicologico? Le situazioni avverse possono provocare la comparsa di gravi disturbi mentali come depressione, stati d’ansia, mancanza di senso e nichilismo: come contrastare tali effetti, connessi al distanziamento, al timore dell’altro, alla preoccupazione per la malattia, alla solitudine? Quali le possibilità in termini di tenuta psicologica delle persone? Come non vedere gli effetti che tutto questo sta avendo e avrà sui bambini, sui ragazzi?
Come ritrovare desiderio degli altri? In questi mesi ci sono stati circuiti di azione solidale, brigate solidali che si muovevano nelle città in lockdown che non solo hanno portato aiuti concreti alle persone in difficoltà economica, ma hanno anche lavorato per rompere il potere distruttivo dell’insensibilizzazione, per usare un efficace termine di Bernard Stiegler, causata dall’impossibilità dei corpi di stare insieme. Che cosa ci insegnano queste esperienze fondamentali? Come ritrovare i nostri corpi, nella lotta, e ricominciare a “sentire”? Come rimettere in circolo nella società questo “sentimento” e farne un motore di trasformazione strutturale?
Relazioni previste per le tre sessioni
Sessione n. 1
- Introduce Cristina Morini
Interventi di Angela Balzano, Alisa Del Re, Andrea Fumagalli, Christian Marazzi, Nicola Policicchio
Sessione n. 2
- Introduce Tiziana Villani
Interventi di Franco Berardi, Simona Bonsignori, Tristana Dini, Guido Veronese
Sessione n. 3
- Introduce Davide Caselli
Interventi di Elisabetta Della Corte, Sara Gandini, Gianni Giovannelli, NUDM Milano, Paolo Peloso
NOTE
[1] AA.VV. “Premessa” in Francesco Muraro, Mario Domina, Nicoletta Poidimani, Luciano Parinetto (a cura di) Corpi in divenire. Soggettività ai margini e pratiche di resistenza, Edizioni Punto Rosso, Milano 1999, pag. 5
[2] Donna Haraway, Manifesto Cyborg. Donne tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, milano 1995, pag. 137